Tracciati d’Arte n. 3
“E’ vero che avete appena dipinto un ritratto a vostra moglie con queste costolette alla griglia in equilibrio sulle spalle?”
“Si esatto, ma le costolette non sono alla griglia, sono crude”
“Perché”
“Perché anche Gala è cruda”.
“E perché le costolette con vostra moglie?”
“Amo le costolette e amo mia moglie non vedo alcuna ragione per non dipingerle insieme”.
Personalità drammatica, scioccante e scandalosa. Come Picasso, Mirò, Matisse e Chagall, Salvador Dalì fa senza dubbio parte del pinnacolo della moderna storia dell’arte. Dalì nasce nel 1904 a Catalogna. Espulso dall’accademia delle belle arti per indegnità a ventidue anni, si reca in seguito a Parigi dove subisce le influenze di Picasso, Mirò, Breton e del poeta Paul Eluard. Partecipa al movimento surrealista in cui si addensano varie “teorie del movimento” in cui affiorano una scapestrata immaginazione, la totale rottura dei freni inibitori facenti parte della coscienza razionale, le più smodate pulsioni umane ed i reconditi desideri inconsci, il tutto a favore delle allucinazioni iperrealistiche. All’annullamento del limite e della misura, si accompagna una sfrenata fantasia contraddistinta da un notevole virtuosismo tecnico. Con Breton, Dalì applica il “Principio di automatismo psichico”, identificato poi dall’ artista come “metodo paranoico-critico”. La paranoia secondo Dalì non è altro che “una malattia mentale cronica”, la cui sintomatologia più caratteristica consiste nelle delusioni sistematiche con o senza allucinazioni dei sensi, le delusioni pertanto, possono prendere la forma di manie di persecuzioni o di grandezza di ambizione. Nodale nel processo è il passaggio dall’ agitazione della paranoia nell’ inconscio, alla costruzione della forma delle immagini che si realizza tramite la “razionalizzazione del delirio”, o “momento critico”. Nel metodo paranoico-critico le immagini appaiono doppie, coincidenti.
“Attraverso un processo nettamente paranoico è possibile ottenere un immagine doppia, rappresentazione di un oggetto che, senza la minima modificazione figurativa o anatomica, sia al tempo stesso la rappresentazione di un oggetto assolutamente diverso”. Una procedura, quella dei surrealisti, che in Dalì si accerta in opere come: “Figure paranoiche”, “Cigni che riflettono elefanti”, “Apparizione di un volto e di una fruttiera sulla spiaggia”, “L’Enigma senza fine”, in cui al nitore del disegno e dei cromatismi si affianca una tecnica che si rifà alla pittura del rinascimento italiano. “Quelli che non vogliono imitare qualcosa non producono nulla”. Nel colloquio incalzante sui grandi maestri del rinascimento contemporaneo, in Dalì emerge il desiderio di emulazione e la lotta condotta in modo subdolo per il raggiungimento della supremazia nell’arte mondiale, affiancato ad uno spietato realismo in cui delirio e paranoia configurano la forza della sua fase realista nel barocco iberico.
Nel 1929, il legame con Gala Deluviana Diakoff, moglie di Paul Eluard, prima amante e poi moglie di Dalì, segna il suo avvicinamento alla tematica della libido che, a livello artistico, si imposta su una sinteticità più chiara e netta, fatta di contenuti univoci. La rottura nel 1934 dal gruppo di Breton non sembra osteggiare l’ego e la fame di riconoscimenti di Salvador Dalì. Nonostante la notevole influenza del gruppo sulla personalità artistica e sociale del personaggio, l’individualità di Salvador Dalì ha certamente subito in aggiunta l’ideale dell’io libero, emancipato dai meccanismi inibitori, privo di vincoli sociali e caratterizzato da un inconscio predominante, riconducibile alle teorie freudiane. È infatti indiscusso il debito del surrealismo nei confronti di Freud per cui le immagini apparentemente prive di legame, documentano una ricerca del meccanismo interiore attraverso il quale opera l’inconscio. Nel 1939 il trasferimento di Dalì in America segna la sua affermazione pubblica come personaggio scostante, altezzoso ed imprevedibile. Nel 1935 parlando di sé afferma: “Salvador Dalì e Gala sono gli unici esseri capaci di moderare ed esaltare sistematicamente la mia pazzia divina”. Nel 1945 Salvador Dalì dipinge il ritratto di Gala “La Galarina” comparabile alla Fornarina per Raffaello. Oggi Salvador Dalì è ricordato massivamente per la sua opera più famosa: “Persistenza della memoria” fatta di uno scorcio sul Port LLigat, scogli aguzzi della costa brava e di un ulivo in primo piano. Nel contesto si impongono tre orologi, oggetti improvvisi nell’allucinazione di un sogno, quello dell’artista stesso sostituito dall’ occhio dalle lunghe ciglia, che giace addormentato. L’opera non è aliena alla rappresentazione dell’ artista stesso in cui la dura scorza esterna del proprio ruolo pubblico stride con la sensibile mollezza interiore. Dalì malato dirà: “accendete un po’ la televisione, voglio sapere come sto'”. Muore nel 1989, un personaggio fatto di eccessi, stravaganze, presunzione, e genialità. Peculiarità che lo contraddistinguono, autonomamente.
Noemi Paris