Mirò

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Tracciati d’Arte n. 3

Poesia e luce

JM3_1Era da molti anni che Roma non ospitava una rassegna esaustiva dell’opera di Joan Miró (1893-1983), il grande artista catalano che lasciò un segno inconfondibile nell’ambito delle avanguardie europee. La mostra presenta oltre 80 lavori mai giunti prima nel nostro Paese, tra cui 50 oli di sorprendente bellezza e di grande formato, ma anche terrecotte, bronzi e acquerelli e gli schizzi tra cui quello per la decorazione murale per la Harkness Commons-Harvard University, tutte le opere provengono da Palma di Maiorca, concesse dalla Fundació Pilar i Joan Miró in via del tutto straordinaria per l’anteprima italiana, la mostra è curata da Maria Luisa Lax Cacho, ritenuta a livello internazionale tra i maggiori esperti dell’opera di Miró, la quale ha voluto illustrare l’ultima fase della produzione della lunga vita dell’artista, quando egli finalmente concretizzò a Maiorca nel 1956 un suo grande sogno: un ampio spazio tutto suo, dove lavorare protetto dal silenzio e dalla pace che solo la natura poteva offrirgli. In occasione della mostra, lo studio che Miró aveva tanto desiderato è stato ricostruito scenograficamente all’interno degli spazi espositivi. Sin dal principio della sua attività Miró ritenne che l’obiettivo dell’artista dovesse concernere progetti di grande portata, come i murali e altri lavori d’arte pubblica che offrivano anche l’opportunità di collaborare con architetti e artigiani, lasciando alla pittura da cavalletto una posizione secondaria. Abbandonato del tutto il cavalletto, Miró dipinge a terra, cammina sulle proprie tele, vi si stende sopra producendo spruzzi e gocciolamenti, fino a passare gli ultimi anni di attività dipingendo con le dita, stendendo il colore con i pugni e cimentandosi nella pittura
materica, spalmando gli impasti su compensato, cartone e materiali di riciclo.

JM3_2Lo studio l’atelier diventa officina, ovvero luogo in cui manipolare e trasformare  “la sostanza della materia”. Miró vive il suo studio atelier come un orto: “per far venire i frutti bisogna tagliare le foglie. A un dato momento bisogna potare”. Paragona il suo lavoro a quello di un giardiniere o vignaiolo. “Il quadro deve essere fecondo. Deve far nascere un mondo. Che vi si vedano fiori, personaggi, cavalli, poco importa, a condizione che esso riveli un mondo, qualcosa di vivo”. Il quadro supera la tangibile constatazione della ragione per consentire all’immaginazione di essere feconda. L’arte di Miró è pervasa da uno spirito creatore che aspira ad una luminosa libertà, soprattutto attenta alle minime vibrazioni dell’Universo. Artista “senza etichetta”, la sua espressione è libera e selvaggia, ma al tempo stesso calibrata e rigorosa.

JM3_3Il suo è un astrattismo narrativo, fantasioso e vivace attraverso il quale le cose seguono il loro corso naturale, ovvero crescono e maturano. Bisogna fare innesti. Bisogna irrigare così come si fa con l’insalata affinché maturino nello spirito. “Nei miei quadri si ritrovano spesso forme minuscole in vasti spazi vuoti. Spazi vuoti, orizzonti vuoti, pianure vuote: ogni cosa che è stata spogliata fino a che fosse del tutto nuda mi ha sempre procurato una forte impressione. Ho sempre bisogno di un punto di partenza, sia esso una macchia di polvere o uno squarcio di luce. Questa forma fa nascere una serie di cose, una ti conduce verso un’altra. Un pezzo di filo può dare inizio a un mondo. Trovo i miei titoli man mano che lavoro, allo stesso modo in cui sulle mie tele una cosa porta a un’altra”.

(JOAN MIRÓ in XX Siècle, n° 1, 1959. La mostra dedicata a Miró è aperta al pubblico fino al 10 giugno 2012, al Chiostro del Bramante (via della Pace, tel 06.68809036, aperta tutti i giorni dalle 70 alle 20, il sabato e la domenica fino alle 21)

Donatella Rossi

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