JAN FABRE: Regista, performer, coreografo e pittore scandaloso

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Il fiammingo Jan Fabre è noto per le sue arti multidisciplinari irriverenti, provocanti ed eclettiche. Regista, performer, coreografo e pittore le sue opere sono state giudicate scandalose e aspramente criticate. Nell’ articolo che segue tratteremo la sua figura di artista visivo cercando di capire il significato delle sue opere più celebri.

Le origini

Jan Fabre nasce ad Anversa da una famiglia di umili origini. Sin da subito si appassiona al mondo delle arti, grazie al padre si avvicina alla pittura fiamminga e dalla madre apprende l’amore per la letteratura francese.

Ha studiato presso il Municipial Istitute of decorative Arts and the Royal Academy of Fine Arts di Anversa.

Nel 1986 fonda Troubleyn/Jan Fabre un teatro laboratorio all’interno del quale rivela i suoi processi creativi e mette in scena le opere dei più importanti artisti/performer contemporanei tra cui Marina Bramovic e Wim Delvoye.

Jan Fabre elabora il concetto di “corpo” difendendone il potere della vulnerabilità. Secondo l’artista viviamo in una società in cui non è accettata l’imperfezione corporea: siamo continuamente bombardati di pubblicità che ci suggeriscono profumi e deodoranti per coprire odori e liquidi che emanano i nostri corpi (il tabù delle mestruazioni ad esempio). Tutto ciò viene rappresentato nelle sue performance insieme a simboli come il sangue, le lacrime e i guerrieri.

Tra le rappresentazioni più criticate c’è quella del 2012 ad Anversa durante la quale vengono lanciati dei gatti in aria suscitando l’ira della folla che scaturisce nell’ aggressione fisica dell’artista.

Altra performance di Jan Fabre definita scandalosa fu “Orgy of Tolerance” in cui è rappresentata una masturbazione collettiva pensata per sbeffeggiare l’idolatria del consumo.

Nel 2018 venti ex ballerini della compagnia Troubleyn accusano Jan Fabre di intimidazioni, comportamenti sessisti e molestie sessuali.

L’Artista visivo

All’età di appena vent’anni si reca a Bruges dove rimane particolarmente colpito dall’opera “Giudizio di Cambise” di Gewrard David raffigurante l’esecuzione di Sisamne, re di Persia brutalmente ucciso dai suoi aguzzini.

Jan Fabre, profondamente colpito dal dipinto, decide di tagliarsi e disegnare con il suo sangue diventando quest’ultimo il mezzo tecnico per indicare come l’arte sia qualcosa che nasce dal corpo. Dipinge anche con le lacrime, il sudore, lo sperma e l’urina ricordando quanto precedentemente già fatto dal maestro statunitense Andy Warhol.

Tra le prime opere monumentali di Jan Fabre troviamo “The man who bears the cross” (l’uomo che porta la croce) un autoritratto in bronzo dell’autore che sul palmo della mano destra tiene in equilibrio una croce gigantesca. L’opera vuole evocare il dubbio umano nei confronti della religione e la necessità di trovare un punto di equilibrio tra il credere e il non credere.

La cattedrale di Anversa accoglie quest’opera che alimenta il dubbio facendolo diventare una virtù positiva che porta ad una ricerca e ad un confronto con il prossimo.

L’uomo non è gravato dal peso della croce al contrario emana leggerezza, caratteristica tipica dell’arte belga lasciando aperto il confronto con il prossimo e l’accettazione di molteplici verità. La croce quindi si fa simbolo di apertura e di dialogo lanciando un forte messaggio di attualità.

Dei maestri fiamminghi Jan Fabre rielabora le tecniche pittoriche di particolare fonte d’ispirazione è il maestro Jan Van Eyck che usava la polvere di ossa calcinate per preparare i colori.

Proprio le ossa sono diventate materiale per la realizzazione della serie “Monaci” sculture realizzate con le ossa umane riproducendo le tonache dei frati. Lo scheletro è portato all’esterno ribaltando completamente la prospettiva e rendendo l’uomo immune da ferite.

Il tema della morte viene anche affrontato nell’opera più celebre di Jan Fabre “L’homme qui mesure les nuages” (l’Uomo che misurava le nuvole). Una scultura di bronzo di un uomo in cima ad una scala con in mano un metro mentre misura le nuvole.

L’opera è carica di drammaticità infatti l’uomo rappresentato ha le sembianze del fratello dell’artista morto prematuramente colto nell’intento di misurare qualcosa di impossibile come le nuvole.

Tale opera vuole essere la metafora dell’artista che deve ogni giorno misurarsi con i propri limiti dell’umana conoscenza e esprimere come un sogno la sua visione del mondo.

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