Legato ad un’ombra, le notti bianche a Miami

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Amici lettori e lettrici, finalmente sta sopraggiungendo la primavera, i sensi si risvegliano e la voglia di fare si moltiplica. Per quanto mi riguarda, sto procedendo alla stesura del mio terzo romanzo biografico “La missione” e intanto continuo a diffondere il neo pubblicato “Legato ad un’ombra” (YOUCANPRINT 2014). Una domenica di qualche giorno fa ho deciso di prendere la mia Moleskine e mi sono recata a Sperlonga per fare il punto della situazione a livello letterario e trovare la giusta ispirazione. Il sole tramutava una giornata invernale in una giornata quasi estiva, la brezza trasportava con sé il profumo di salsedine mentre i palazzi antichi, bianchi e arroccati sulla collinetta si coloravano verso l’ora del tramonto. Così, ho capito qual è il lato positivo di vivere nel ventunesimo secolo: da un lato ogni luogo del globo conserva la sua cultura e le sue particolarità. Dall’altra, avendo il genere umano infranto il vincolo delle distanze e della comunicazione, possiamo scegliere di conoscere ogni dove, per attingere a quei particolari che rendono la nostra specie tanto unica e diversificata. Per chi ha voglia e bisogno di percepire posti sempre nuovi, cosa c’è di meglio di un bel libro, che apre l’intelletto a nuovi luoghi non solo geografici ma anche mentali?

CC10Dovete sapere che io leggo poco. A differenza di quanto si possa pensare io leggo molto poco. E ciò che faccio non si può neanche chiamare lettura, no. Io sono il virus dei miei libri. Io il libro lo compro rigorosamente nuovo, è una mia malattia. Lo porto a casa e comincio ad invecchiarlo leggendolo. Spremo il significato e lo bevo avidamente. Se mi piace ciò che espone poi, inizio a sottolineare, a ripetere, a confutare, a verificare, a convincermi. Poi lo riempio di orecchiette, poi ci rido, ci piango, ci esulto e lo mando a quel paese. Quando io finisco un libro che mi sia piaciuto beh, state certi quel libro è sconvolto, ridotto al lumicino, ha più segni di un galeotto all’ergastolo. Nessuno vuole in prestito i miei libri (letti) e nessuno vuole prestarmi i suoi, ovviamente. Allora potete immaginare quanto sia arrabbiata io, che non trovo la mia copia delle Notti Bianche di Dostoevskij. Io sono una distratta. La lettura per me è vertigine e pugnalata contemporaneamente, quindi no, non sono una che legge troppo, ormai. Però a quindici anni mi è capitato fra le mani lui, Fëdor. Anzi Dostoevskij, perché molti editori non scrivono più neanche il suo nome di battesimo sulle plurime ristampe; cosa importa!? Non gli servono a quest’autore due segni linguistici che lo identifichino, gliene basta uno, il cognome. Questa mia storia, è un omaggio a Dostoevskij. Per me è stato una sorta di scherzo leggere i suoi romanzi, specialmente la prima volta. Egli, a mio avviso, ha scovato tutte quelle che sono le vere e genuine isterie e debolezze dell’animo umano. Le domande universali che ogni uomo di un certo spessore psicologico si pone. Il Complesso primordiale, le manie che si sviluppano nella mente quando dopo esser nati in uno stato di natura, ci si ritrova immersi nella società moderna. E il giudizio di questa società che ci opprime sin da piccoli, e fino ad anziani ci accompagna. In questo senso fra diciannovesimo e ventesimo secolo poco o niente è cambiato. Egli ha descritto l’inconsistenza di ogni singola pippa mentale umana, nient’altro che fittizia inutilità di fronte ai fini ultimi della nostra vita, capace eppure di raggiungerci e farci affogare e annaspare. I doveri, la religione, credere a Dio o in un dio, per bisogno di salvezza. La costruzione di una gerarchia di valori come un alveare che spazia dagli oggetti materiali, ai soldi, ai ranghi sociali e poi politici e religiosi. Il nostro relazionarci a questo insopportabile “altro al di fuori di noi”. Il lavoro umano, la manodopera, il microcosmo dell’ambiente di lavoro, dei parenti, degli amanti, dei fantasmi, degli spiriti che ci spifferano all’orecchio odiosi suggerimenti di ribellione e diffidenza. Noi uomini siamo un misto fra gli animali e qualcosa di superiore. Uno scherzo della natura che mira all’eternità, che mira all’immortalità; ma che in fondo vive per le piccole cose. Oh sì, per le piccole cose viviamo e non per quelle grandi. La sofferenza, la semplicità della nostra mente, il senso di colpa, il rimpianto, il rimorso. “Dostoevskij ha intuito” pensai. Una vita non basta a raggiungere il livello di sincerità e di trasparenza Dostoevskijana, no signori. Io credo fermamente che alcune persone siano predisposte più di altre ad accostarsi al nocciolo delle questioni umane. Alcuni hanno il talento della visione, della sensibilità, dell’intelligenza sfrenata, del capire per primi, della coscienza, dell’arrivare in tutti quei luoghi oscuri e lontani della nostra natura, spazi freddi e isolati, ostili e impenetrabili. Sono spazi per pochi eletti, i luoghi della mente. Ed in questo senso Dostoevskij era un eletto che ha saputo coniugare a questa incredibile capacità percettiva, un grande talento per la narrazione e la creazione di romanzi che sono ora mai a dir poco immortali. E allora io gli dedico una storia, che sia uno specchio delle sue. Dove io possa giocare a fargli da sosia e spendere scrivendo qualche notte bianca, da condividere anche con altra povera gente, dove si parla di umiliati e offesi, e soprattutto che serva a far riemergere le mie memorie dal sottosuolo e così via. Non starò qui ad elencarvi tutti i luoghi del romanzo che lo richiamano, e neanche vi appesantirò l’introduzione con una sua biografia o peggio bibliografia. Se poi questa storiella avrà fortuna, saranno altri a trovare le congruenze al posto mio. Oppure potete fare finta di niente e leggere le vicende indipendentemente dal mio omaggio. In fondo questa storia è lontana dalla fredda Russia di una San Pietroburgo di metà ottocento. Ci siamo spostati, volando fino in Florida, nella calda Miami di tre anni fa.

 

Facebook: Claudia Crocioni
mail: clacro9@aol.com

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